Scomparsa/Disparition
By Sibylle Duboc
13/02/2025 - 06/04/2025
Fotografie di Luca Vianello
SCOMPARSA/DISPARITION
Sibylle Duboc
a cura di Luca Vianello e Silvia Mangosio in collaborazione con Museo Nazionale della Montagna, Musee des Merveilles Con il supporto di Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT
Mucho Mas! è lieto di presentare Scomparsa/Disparition, mostra personale di Sibylle Duboc, artista multimediale francese che vive e lavora a Marsiglia.
Sibylle Duboc è stata invitata a Torino per proseguire la sua ricerca nell’archivio del Museo Nazionale della Montagna durante un periodo di residenza ad Ottobre 2024.
Il progetto di ricerca è ideato da Mucho Mas! in collaborazione con Museo Nazionale della Montagna (TO) e Musee des Merveilles (Tende) e supportato da Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT. Sybille presenterà anche la performance “La marcia dei ghacciai” sabato 5 aprile 2025 nel programma “Walking Mountains Social Walks”.
Scomparsa/Disparition comprende una serie di lavori creati nel corso dell’ultimo anno in una serie di residenze durante le quali l’artista si è focalizzata sulla ricerca dei cambiamenti e dell’antropizzazione del paesaggio alpino.
Come riflessi di paesaggi trasformati dall’uomo, le opere che Duboc crea fanno eco al danno inflitto all’ambiente. Evocano quindi le conseguenze della nostra era, l’Antropocene, in cui le risorse naturali utilizzate quotidianamente inevitabilmente scompariranno.
Le creazioni di Sibylle Duboc cercano di mettere in discussione i nostri gesti, i nostri consumi, i nostri stili di vita e il nostro rapporto con il visibile. Costituendo una sorta di gioco formale tra l’industrializzazione dell’uomo e i disegni della natura, i suoi lavori evidenziano un’importante trasformazione del paesaggio, attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali.
Queste opere prendono la forma di scultura, sperimentazioni fotografiche, video e performance: mettono in discussione il nostro legame con la natura mostrandoci un ambiente fragile e una terra minacciata dall’azione umana.
Collegando i fenomeni geologici con i nostri sistemi produttivistici industriali per evidenziare le prospettive di una natura antropizzata, le sue opere raccontano rovine che contengono temporalità invertite, sono frammentazioni del presente che ci conducono verso storie alternative, verso vestigia del mondo attuale. Sono il conto alla rovescia di un’archeologia chimerica, finzioni che ci portano oltre l’oggetto, verso paesaggi dissolti, dove l’orlo dell’abisso sembra sgretolarsi lentamente per condurci verso uno stato di caos.
La mostra Scomparsa/Disparition inverte la narrazione del dominio dell’umanità sulla storia geologica della Terra: qui regna il mondo minerale. Mentre rivela la propria antropizzazione, la roccia annuncia la fine dell’era della domesticazione delle sue montagne. Da qui emergono opere che attraversano lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi, la dissoluzione dell’Artico, il flusso delle incisioni rupestri millenarie che proliferano nella Valle delle Meraviglie. Ognuna di queste pietrificazioni rimanda al nostro inevitabile scivolamento verso una terra inabitabile.
Rivelano il futuro della nostra civilizzazione: cioè il suo assorbimento nella storia geologica della Terra. Ci ricordano che quando l’era dell’antropizzazione del mondo giungerà altermine, resterà solo la roccia a incidere nei suoi sedimenti la traccia del nostro passaggio.
Sculture in cemento, sulle quali l’artista stampa in camera oscura con emulsione fotosensibile delle immagini relative allo scioglimento dei ghiacciai prese da Google Earth, mimano la forma di geodi vuoti.
Ad essi fa da contrapposto un grande masso in gesso sul quale sono scavati i segni delle incisioni rupestri, indizi del passaggio dell’uomo fin dai primordi della civiltà.
Le aree su cui si è concentrata Duboc per la sua ricerca sono state antropizzate fin dall’antichità: sulle montagne, si trovano segni del passaggio dell’uomo e del suo cammino, che continua fino ad oggi in maniera sempre più evidente.
Insieme alle sculture, troviamo in mostra le fotografie delle incisioni rupestri trovate nella Valle delle Meraviglie, petroglifi che risalgono fino al 3500 a.C., presentate come moderne tracce digitai della nostra presenza nel mondo montano.
Per estrarci dal nostro mondo visivo fatto di schermi e dati virtuali, la pietra materializza la fotografia dello smartphone attraverso la reazione fisico-chimica e scolpisce l’immagine satellitare in un volume solido, pesante e immutabile. Così il mondo minerale attinge alle nostre immagini per fossilizzare il vernacolare e renderne palpabili le forme.
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Sibylle Duboc (Marseille, France, nata in 1995) è un’artista plastica francese laureata nel 2018 con un Master in pratica e teoria delle arti visive presso l’Università ALLSH di Aix-Marseille. Ha partecipato a numerose mostre a Marsiglia e nel sud della Francia: alla galleria Catherine Bastide, al museo d’arte contemporanea di Châteauneuf-le-Rouge (Mac Arteum), alla galleria Videochroniques, alla Vetrina della galleria Art cade, e ha collaborato a progetti internazionali: drooM (Francia-Belgio), The Nave (Londra), Trasloco (Torino). Ha realizzato residenze, conducendo diversi laboratori di creazione partecipativa, permettendole di scambiare e sviluppare pensieri critiche e spiriti creativi con un pubblico vario e attivo.
Approfondimento
Sei stata in residenza a Tende, al Musée des Merveilles. Cosa c’è dietro l’idea di trasformare i petroglifi in fotoglifi? Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sull’uso del formato smartphone.
Per realizzare questo progetto, ho svolto una residenza presso il Musée des Merveilles di Tenda, dove sono stata accompagnata da una guida alpina del museo e da un docente per vedere le incisioni, e dove ho potuto scoprire le collezioni e la documentazione del museo.
Il risultato è la serie Fotoglifi, che consiste in stampe provenienti da smartphone delle incisioni rupestri presenti nella Vallée des Merveilles. L’idea è quella di passare dal flusso di immagini sulla roccia al flusso di immagini sullo schermo. Le immagini incise nella roccia della Vallée des Merveilles rappresentano pugnali, mandrie di bovini e appezzamenti di terreno coltivati dall’uomo. Queste immagini sono legate all’inizio dell’antropizzazione della terra, ma anche all’inizio delle disuguaglianze sociali con lo sfruttamento di risorse rare come il rame e lo stagno per creare il bronzo; sfruttamento che ha stabilito una forte gerarchia sociale tra gli uomini. Queste immagini sono incise nelle montagne, seguendo le striature glaciali formatesi dopo lo scioglimento della glaciazione del Würm. I ghiacciai si sono sciolti così lentamente da strappare la montagna e lasciare grandi striature glaciali. Le prime persone che scoprirono le Alpi dopo la fine della glaciazione incisero su queste striature. I fotoglifi mostrano quindi sia le incisioni rupestri sia queste striature glaciali. L’idea alla base di Fotoglifi era quella di parlare del nostro rapporto con le immagini, tra quelle prime immagini incise nella montagna, ancorate alla materia minerale, in un contesto molto specifico in cui il luogo aveva un enorme significato e importanza, e che era destinato a durare nel tempo. Oggi il nostro rapporto con le immagini è perlopiù legato agli schermi, dove l’immagine non ha più alcuna materialità o significato. Non è ancorata al luogo o al tempo. Queste stampe mettono in relazione il primo rapporto che abbiamo avuto con le immagini con quello che abbiamo oggi. L’obiettivo è quindi quello di rimaterializzare l’immagine facendo emergere i segni che riconosciamo immediatamente, simboli della fotografia da smartphone (il cestino per cancellare, il cuore per mettere like, la matita per modificare l’immagine...).
Le immagini contengono quindi sia i segni dei petroglifi lasciati dall’uomo dell’età del bronzo, sia i segni del nostro rapporto contemporanea con l’immagine, che sono i segni dello schermo. I petroglifi non sono stati incisi nella pietra in modo casuale, ma ciascuna delle incisioni è stata disegnata in relazione alle altre in modo da tracciare un quadro di petroglifi, dei grandi flussi di immagini che seguono le striature glaciali. Questo flusso si ritrova nei Fotoglifi, con il flusso di immagini della galleria telefonica che si vede sotto le stampe.
Anche la presenza di striature glaciali è di grande importanza, poiché le striature sono presenti perché i ghiacciai si sono sciolti molto lentamente nel corso di migliaia di anni, rispetto allo scioglimento dei ghiacciai odierni, che è così rapido da non lasciare traccia. E’ anche importante che i disegni si riferiscano all’appropriazione della terra da parte dell’uomo (squadre di buoi, disegni di appezzamenti agricoli visti dal cielo). Questo è anche l’inizio del periodo in cui l’uomo ha cominciato ad appropriarsi della terra e a considerarla di sua proprietà. La conseguenza di questo rapporto di possesso con la terra è lo scioglimento dei ghiacciai. Di conseguenza. le stampe fanno eco anche al resto delle sculture (geodi e meteoriti), creando un dialogo tra le diverse opere in mostra. L’altra connessione tra i Fotoglifi e il meteorite (una grande scultura in gesso e bitume) è che le incisioni rappresentano pugnali in bronzo, mentre il meteorite è in bitume. I pugnali di bronzo erano un segno di prestigio sociale e costituivano la base del sistema economico dell’Età del Bronzo. Le civiltà che dipendevano da questa risorsa sono crollate tutte allo stesso momento, quando la crisi climatica si è combinata con una crisi delle risorse di stagno che venivano utilizzate per produrre la lega di bronzo. La presenza di bitume sul meteorite è quindi un riferimento al modo in cui la civiltà del Bronzo è crollata, un collegamento al fatto che oggi la nostra società si basa sul consumo di petrolio e che le nostre riserve sono stimate in circa trent’anni. Dopodiché, la nostra civiltà avrà esattamente gli stessi parametri dell’Età del Bronzo (crisi climatica e crisi della principale risorsa su cui si basa il sistema economico. Da qui possiamo trarre le conclusioni sul futuro che ci attende.
Parliamo dei geodi: c’è un legame specifico tra la forma propria del geode e le foto dei ghiacciai che hai deciso di stamparvi sopra? O è una questione di formalizzazione istallativa?
I Geodi sono sculture in cemento basate su immagini satellitari di iceberg staccati dai ghiacciai in sciogli- mento nell’Artico, e più precisamente in Groenlandia, dove la loro scomparsa sarà direttamente collegata all’aumento del livello globale del mare. La forma della scultura corrisponde alla forma stessa dell’iceberg, che diventa un buco, una nicchia, un’assenza, un’impronta negativa. Tutto cio’ che rimane è la sagoma dell’iceberg. La fotografia ai sali d’argento mostra l’acqua che circonda l’iceberg e che presto si unirà, perché è destinata a sciogliersi e diventare oceano. L’immagine mostra altri iceberg che galleggiano intorno ad esso, anch’essi staccati dal ghiacciaio principale, che andrà incontro allo stesso destino.
La forma dell’intera scultura corrisponde a quella della matrice dell’iceberg, evidenziandone l’assenza, la scomparsa. L’opera diventa un tentativo di fossilizzare un iceberg, il cui scioglimento si mescolerà agli oceani senza lasciare traccia. E’ un modo per rendere visibile la scomparsa dei ghiacciai che si sciolgono lentamente, in silenzio, lontano da noi, ma la cui scomparsa è direttamente legata ai nostri stili di vita e di consumo capitalistici. Il geode normalmente contiene un minerale che si è formato nel corso di milioni di anni attraverso reazioni fisiche e chimiche, ma qui la scultura, diventando un minerale, non rivela il passato ma diventa una storia di anticipazione che racconta la catastrofe climatica già iniziata. Il fatto che le immagini siano stampe ai sali d’argento dimostra il desiderio di materializzare l’immagine satellitare, di estrarla dal suo supporto a schermo. Così come il minerale dei geodi si forma grazie ai cambiamenti delle proprietà fisiche e chimiche dell’ambiente in cui si trova la pietra, anche l’immagine si forma grazie a reazioni fisiche (proiezione luminosa con l’ingranditore) e chimiche (nitrato d’argento). Il fatto che i Geodi siano fatti di cemento è un riferimento diretto a un materiale prodotto dall’uomo, il prodotto della società moderna, principale materiale da costruzione utilizzato nelle nostre città. In questo modo, la scultura crea un legame tra il nostro stile di vita urbano e le sue conseguenze sull’ecosistema glaciale.
In mostra c’è una grande scultura in gesso e bitume. A cosa si riferisce la sua forma? E che rapporto c’è con le incisioni su di essa praticate?
L’ultimo scioglimento dei ghiacciai durante la glaciazione di Wurm è durato migliaia di anni ed è stato così lento da lasciare segni giganteschi sulla montagna. Oggi, lo scioglimento dei ghiacciai è così rapido da non lasciare traccia. Nel mio lavoro, ho così iniziato a cercare un modo per lasciare una traccia della scomparsa dei ghiacciai. Per farlo, ho mobilitato gli elementi plastici e concettuali dell’arte rupestre presenti in questa regione alpina. Le incisioni rupestri della Valléè des Merveilles rappresentano l’inizio dell’antropizzazione e dell’appropriazione del territorio da parte dell’uomo. Questa grande scultura presentata da Mucho Mas! mostra le conseguenze di questa appropriazione della Terra: la scomparsa dei ghiacciai nelle Alpi.
Ho fatto una ricerca presso il centro di documentazione del Museo Nazionale della Montagna di Torino, per elencare i nomi dei ghiacciai alpini minacciati di estinzione nei prossimi decenni a causa del riscaldamento globale.
Ho scelto un totale di 100 ghiacciai e sono andata alla ricerca di viste aeree satellitari degli stessi. Ho preso le immagini satellitari perché le incisioni rupestri sono viste dal cielo (dal punto di vista celeste). Ho quindi utilizzato queste immagini per incidere una scultura, la cui forma ricorda quella di un meteorite.
Ho scelto la forma del meteorite perché nelle incisioni rupestri le immagini sono ancorate a un luogo (una montagna, una grotta, ecc) e quel luogo ricopre una grande importanza. Volevo quindi realizzare una scultura che potesse “essere un luogo” in sé, quindi non doveva avere la forma di un calco o di una piccola pietra che potesse muoversi, ma che desse un’impressione di immutabilità. Poiché le immagini preannunciavano la scomparsa dei ghiacciai, ho voluto realizzare una scultura fittizia, come se fosse un meteorite arrivato dal futuro per dirci che i ghiacciai stanno scomparendo. Il fatto che sia un meteorite gli conferisce un aspetto celestiale, come se fosse venuto dal cielo per portarci le immagini satellitari della scomparsa dei nostri ghiacciai. Ho scelto la forma di un meteorite perché evoca l’immagine della fine di un’epoca.
La caduta del meteorite sulla Terra ricorda un’estinzione di massa e ci fa pensare alla fine di un’era e alla potenziale estinzione della nostra civiltà. La scultura è un confronto tra passato e futuro: l’arte rupestre ci parla delle civiltà del passato, ma ci arriva qui dal futuro per annunciare la scomparsa dei ghiacciai alpini. Questa scomparsa è la conseguenza finale delle nostre scelte come società, iniziate nell’Età del bronzo, quando l’uomo ha cominciato ad appropriarsi della Terra. Le incisioni sulla scultura sono realizzate con la stessa tecnica dei petroglifi trovati nella Valle delle Meraviglie (che si ritrova nella pratica dei petroglifi in tutto il mondo), una tecnica di disegni puntuali che consiste nel rimuovere la superficie della pietra, rivelando una roccia di colore diverso nello strato immediatamente sottostante per creare un contrasto. Ecco perché la scultura è di gesso bianco ricoperta di bitume.
La mostra Scomparsa/Disparition di Sibylle Duboc é parte di un progetto ideato da Mucho Mas!, con il contributo di:
In collaborazione con: