SPACE IN MIRROR IS CLOSER THAN IT APPEARS
By Stefano Commensoli_Nicolò Colciago
02/11/2021 - 18/12/2022
In occasione della settimana dell’arte di Torino, Mucho Mas! presenta un progetto del duo Stefano Comensoli_Nicolò Colciago. Una riflessione aperta e sensibile sullo spazio, un’illusione reale che esiste e si trasforma.
La mostra Space in Mirror Is Closer Than It Appears prende il nome dall’azione che gli artisti portano avanti da aprile 2021 e che consiste in pratiche di cura in siti dimenticati. Attraverso questi processi scoprono e si affidano a un luogo e, in esso, trovano tutto il materiale di cui hanno bisogno per costruire un mondo parallelo, che diventa reale ma intangibile.
La ricerca di una profonda relazione con il territorio in cui agiscono, ha portato
gli artisti a realizzare il terzo episodio di Space in Mirror Is Closer Than It Appears in una tipografia abbandonata della periferia di Torino.
Per la prima volta il processo si estende ed entra nello spazio di Mucho Mas!, sviluppando il concetto di materia intangibile, confine tra l’azione del corpo fisico e quella del corpo sensibile.
“Materiali, tecniche e suggestioni, sono nati dall’esperienza di quel luogo e sono venuti via con noi”.
Nello spazio della galleria la materia ricopre un doppio ruolo, presenza e assenza.
Lo schermo al centro della sala è la porta da attraversare, il ponte tra i due luoghi, accompagnato da una lastra per la stampa offset con impressa un’immagine disciolta, una scultura time capsule e una proiezione analogica di collage a pellicola.
Spazio, ricerca, materia, e azione si fondono insieme generando luoghi di immaginazione concreta.
BIO
Stefano Comensoli (Milano, 1990) e Nicolò Colciago (Garbagnate Milanese, 1988).
Lavorano e ricercano insieme dal 2014 e sono co-fondatori del progetto Spazienne.
La loro ricerca parte dall’esplorazione e la catalogazione del paesaggio: lavorano con materiali industriali, grezzi, rovinati e consumati; parti di scarto e di recupero provenienti da aree dismesse, luoghi periferici e cantieri, su
cui il tempo e l’uomo attuano processi di corrosione, demolizione e abbandono. Usano la scultura, l’installazione, l’assemblaggio di materiali e studiamo a fondo le tecniche per superare i limiti formali a favore di una soluzione di equilibrio. Utilizzano editoria, grafica, fotografia e video come mezzi di espressione pittorica, estrapolando la parte sensibile dalla materia con cui interagiscono e la restituiscono.
Tra le ultime mostre e progetti: Zauber und Paranoia (2021), installazione site-specific presso Super Bien! (Berlino); Lì dove nascono le forme del vento (2020), mostra personale presso la galleria Otto Zoo (Milano);
Il libro Stavo andando dove sono (2020) con Annika Pettini; Multiverso (2019), mostra personale presso megazzino (Garbagnate Milanese, MI); Toccare un dito con il cielo (2019) a cura di Spazio 1b per l’11a Biennale dell’Immagine di Chiasso; Piccolo Esercito (2018 - in corso) un progetto itinerante negli spazi pubblici della città di Milano in collaborazione con Annika Pettini e Alter D;
FAR QUADRARE I CERCHI
Una conversazione di Davide Dal Sasso con Stefano Comensoli e Nicolò Colciago
Con la vostra opera Space in Mirrror Is Closer Than It Appears si ha l’impressione che voi non stiate lavorando nello spazio ma con lo spazio, quasi come se esso fosse una sorta di “versione speciale” della materia.
Abbiamo sviluppato un progetto basato sulla scelta di prenderci cura degli spazi per dedicarci alle possibilità che offrono, tenendo conto anche degli imprevisti e del caso. Quella impressione che descrivi è corretta, soprattutto perché in questa nuova opera abbiamo provato a portare all’estremo una dinamica che solitamente caratterizza il nostro rapporto con i materiali.
Di che cosa si tratta?
Principalmente, della trasformabilità. Ci siamo concentrati sulle possibilità in atto. Sui molteplici e improvvisi cambiamenti che possono presentarsi inaspettatamente durante l’elaborazione dell’opera e, certamente, anche dopo averla fatta.
La somiglianza con il nostro modo di lavorare sui materiali è dovuta al fatto che spesso essi sono comuni, semplici
e di facile reperibilità. Anche i luoghi in cui abbiamo sviluppato Space in Mirrror Is Closer Than It Appears sono tali.
Ma l’occasione è stata preziosa per lavorare ancora di più sulla possibilità di trasformarli e vederli cambiare davanti ai nostri occhi.
Quei cambiamenti sono resi possibili dal dinamismo che è sia l’insieme delle numerose attività che avete svolto per ottenere la vostra opera, sia l’origine delle sue trasformazioni.
Il dinamismo è un riferimento molto importante per noi. Da sempre il movimento rientra nelle nostre ricerche.
Lo stesso progetto di Spazienne si basa sul dinamismo, sull’idea di un contenitore che possa accogliere poetiche diverse, attivare più direzioni di ricerca ed essere il motore che dà origine a continui movimenti. Non è casuale che citiamo questo profondo legame tra i nostri progetti. Space in Mirrror Is Closer Than It Appears è collegato alle altre opere proprio perché ci permette di sviluppare la nostra indagine sul dinamismo.
Come si caratterizza questa indagine?
Mettendoci continuamente alla prova e riconoscendo che quello che stiamo facendo è certamente contaminato da esperienze precedenti. Sembra scontato, ma non lo è. E questo risalta soprattutto nelle nostre attività. Preleviamo materiali, li smontiamo, li ricombiniamo. In questo caso abbiamo scelto di prenderci cura degli spazi
e lavorare sulle loro continue trasformazioni ammettendo, come sempre, che le cose potrebbero non andare come vogliamo. Questo è anche il senso del dinamismo e del suo legame con il caso.
Questo vostro lavoro con lo spazio può essere anche considerato come un tentativo per affrontare una mancanza di possibilità che può sorgere repentinamente.
Un elemento per noi fondamentale è sicuramente l’esperienza. Se dovessimo pensare al nostro percorso artistico, dall’inizio a oggi, non potremmo fare a meno di considerarlo alla luce dei continui tentativi di affrontare la mancanza
di qualcosa facendo un passo in qualche direzione per capire che cosa può succedere. Space in Mirrror Is Closer Than It Appears traduce sicuramente anche questa condizione esperienziale. È un’opera nata durante il periodo del lockdown ed è stata fatta proprio per cercare di rispondere a una mancanza di possibilità. Il nostro lavoro è stato naturalmente influenzato dalla nuova condizione esistenziale originatasi in quella fase. L’abbiamo affrontata riconoscendo che quegli spazi nei quali stavamo facendo ricerca potevano essere direttamente il materiale per fare le nostre opere.
Così, la mancanza di uno spazio da vivere è diventata la condizione di possibilità per fare l’opera.
Al pari di altre vostre opere, anche Space in Mirrror Is Closer Than It Appears esprime la mutabilità.
È un esito che si deve soprattutto al momento in cui, per così dire, entriamo in scena. Noi arriviamo sempre a un certo punto, molto dopo che i materiali sono stati creati, condivisi, utilizzati... Le cose che usiamo appartengono al mondo, hanno una loro storia. In molti casi hanno avuto dei significati che potrebbero anche essere andati persi.
Le nostre ricerche sono rivolte a tutti questi aspetti. Ci interessa sapere che cos’è una certa cosa, ma soprattutto riuscire a ridarle centralità tenendo conto dei segni che la caratterizzano. Ecco, forse, la possibilità di esprimere
la mutabilità nasce proprio da questo nostro modo di lavorare. Anche perché, il nostro intervento mira a conservare e a rendere nuovamente condivisibile la mutabilità, piuttosto che fissarla in un qualche risultato formale.
Sono aspetti che hanno a che fare anche con la trasformazione delle stanze che mostrate negli episodi della vostra opera. Ci sono in particolare due caratteristiche che vorrei esaminare insieme a voi: la trasformazione avviene gradualmente ed è tracciata attraverso l’uso del video. Iniziamo dalla gradualità.
Negli anni i nostri tentativi ci hanno portati a compiere quelli che potremmo chiamare “piccoli spostamenti”.
Questo è avvenuto attraverso una specie di lungo e costante allenamento. Un modo per tentare di nuovo, per rimettersi in campo anche quando qualcosa va storto. Ogni lavoro che abbiamo fatto è collegabile al precedente e probabilmente anche al successivo. Se infatti pensiamo alla gradualità, vediamo chiaramente quelle che sono descrivibili come soste
e avanzamenti che determinano il ritmo del nostro lavoro. Sono gradi di attività che esploriamo e che ci permettono di appoggiarci a qualcosa che possa essere usato come base e di procedere nel lavoro cercando una strada da percorrere.
La gradualità è una questione di tempo, ossia di maturazione del lavoro, che implica anche il vostro modo di affrontare imprevisti, fallibilità, mutamenti.
Insieme a concentrarci sull’avanzamento temporale Space in Mirrror Is Closer Than It Appears è stato anche l’occasione per sviluppare l’indagine su qualcosa come un “allargamento spaziale”. Non si tratta solo della possibile conquista di nuovi territori ma di continuare a provare. Senza naturalmente dimenticarsi dei tentativi precedenti. Quando scopriamo qualcosa ne facciamo tesoro e poi proviamo a nebulizzarlo su qualcos’altro che potremmo considerare neutrale, perché prima non era entrato in contatto con quel materiale. Gli imprevisti che possono presentarsi, gli eventuali fallimenti
e i mutamenti li affrontiamo cercando di capire se ha senso insistere e percorrere una certa strada oppure no.
Voi siete tenaci. Se qualcosa andasse completamente storto sareste pronti a dire: bene, cambiamo strada.E così fate. Mi chiedo, però, fino a che punto lasciate che la necessità di fare possa procedere in autonomia rispetto a quel che poi vorreste riuscire a fare.
Siamo tenaci nel voler portare a termine il lavoro. Naturalmente, se si prende una strada che è sempre più sconnessa, troppo dissestata e impraticabile poi però si rischia che non si arrivi da nessuna parte. Negli anni abbiamo imparato che è così che ci si misura con i limiti: una curva la puoi modellare, rendere graziosa e guardabile; oppure, puoi lavorarci fino al punto in cui spezzi il materiale. Noi siamo caparbi e tenaci per riuscire a ottenere il migliore dei risultati pur
non sapendo quale sarà. Mettiamola così: facciamo di tutto per andare il più possibile in profondità e per mantenere comunque delle energie per poi ritornare a galla.
Consideriamo adesso il vostro uso del video: è uno strumento di restituzione e, allo stesso tempo, è ciò che concede di tenere traccia della fluidità che alimenta la vostra poetica. Mentre documentate l’accaduto coinvolgete chi osserva lasciando che si colgano numerosi movimenti. A emergere sono infatti le fasi del vostro lavoro, il ritmo in cui si svolge.
Nel momento in cui si registra con il video si prende nota anche di azioni e accadimenti che non potranno essere catturati altrimenti. Ossia, vorremmo ripresentarli nel presente, ma esso è naturalmente già cambiato nel momento stesso in cui si sono verificati. L’opera perciò rende manifesta una dimensione di unicità e variabilità che è messa
a disposizione proprio attraverso l’uso del video. Il tentativo è quello di fare entrare chi la osserva, non rendendoli spettatori ma osservatori compresenti alle attività in corso. Vogliamo che l’osservatore possa seguire i nostri movimenti, i cambiamenti di posizione delle cose nello spazio, vederne le trasformazioni. Per riuscirci, abbiamo usato la camera
seguendo i movimenti del nostro sguardo, ossia mostrando dove si era davvero posato durante l’esplorazione di quegli spazi e l’individuazione dei materiali che abbiamo usato.
Gli episodi di Space in Mirrror Is Closer Than It Appears mostrano anche quale sia l’importanza della registrazione: da quando siete intervenuti voi, nello spazio reale saranno sicuramente cambiate molte cose; quello registrato è invece uno spazio che mostra quanto per voi, insieme alla mutabilità, sia altrettanto importante non lasciare che la forma diventi il risultato finale.
È come dici. Ma, ci sono due aspetti da considerare. Il video è controllabile, o almeno possiamo dire organizzabile,
in base a come lo montiamo e lo installiamo. Mentre tutto quello che accade nella stanza dove abbiamo inserito i materiali è completamente autonomo rispetto alle nostre volontà; ha le proprie regole ed è al di fuori di qualsiasi nostra possibile imposizione. La possibilità di lavorare in entrambi gli spazi, quello della realtà e quello del video, è alla base dello studio che stiamo sviluppando con quest’opera. In esso ritorna in primo piano la nostra necessità di non avere mai una immagine chiusa, di evitare di irrigidire tutto il lavoro dell’opera con una forma. Vale a dire, possiamo anche avere una idea chiara ma deve essere il più possibile accogliente per la manifestazione concreta dell’opera. Quella idea deve lasciare degli spazi perché ciò che si manifesterà concretamente possa essere presente. Per noi non si tratta di seguire qualcosa di predefinito.
Qual è allora la via percorribile?
Ci piace sempre non chiudere, evitare di mettere una barriera. Perciò da una parte, una via percorribile è quella che
ci permette di riuscire a lasciare uno spazio: per la materia, per l’errore, per chi guarda. Così ha inizio il lavoro: la
nostra tenacia ci spinge a fare qualcosa, come si potrà lavorare si definisce facendo, cosa potremo ottenere dipenderà dalle diverse fasi di lavoro e da quello che succederà. Dall’altra parte, una via è percorribile anche perché presenta naturalmente i limiti che imporranno a un certo punto di fermarci. Nel caso di Space in Mirrror Is Closer Than It Appears si tratta di fermare il video, voltarsi dall’altra parte e andare via.